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Buone paleofeste a tutti

Fra pochi giorni parto per festeggiare la fine dell'anno con i miei parenti nel sud Italia. Non avendo accesso a internet (e sincera voglia di riposarmi) le attività di Paleostories si fermeranno fino a dopo l'epifania.
Ma non temete, il nuovo anno si prospetta succoso e ricco di novità paleontologiche, quindi, è solo un arrivederci.

Buone feste,
a presto


P.S. Per chi, come me, non crede nel natale cristiano, questa è comunque l'occasione di festeggiare, visto che questa è la settimana dei Saturnalia, la festa dedicata a Saturno. Saturno era per i romani l'equivalente di Krono per i greci. Perciò viva le divinità del tempo e, dunque,anche della paleontologia.

C'era una volta in Italia: nel Cambriano, ancora in Sardegna

Questo post è indissolubilmente associato a questo e, sebbene possa essere letto anche da solo, è vivamente consigliato di prendere visione anche del suo post fratello.

La Sardegna oggi è senza dubbio uno delle più famose mete turistiche estive d'Italia, per il suo bel mare, le sue spiaggie ampie e in generale per il paesaggio brullo, naturalistico e molto avventuriero. Ma, come in molti altri casi, spesso il paesaggio di fronte a cui ci meravigliamo nasconde (in questo caso sotto i nostri piedi) altre e forse ancor più meravigliose storie, difficili da vedere quanto belle da scoprire. A livello geologico, la Sardegna forse è uno dei casi più emblematici: voi, o turisti che affollate le coste sarde tutti presi dalla voglia vacanziera di sole e mare, lo sapete che state camminando sullo scrigno che contiene le rocce più antiche d'Italia?

Ebbene si,
come abbiamo visto già lo scorso post, la nostra isolona presenta tracce di antichissimi fondali marini depositati parecchi milioni di anni fa, già a partire dalla fine del Precambriano. 
Chi ama il mare non resterebbe deluso all'arrivo di un ipotetico viaggio nel tempo  nel Cambriano sardo: durante questo periodo, la Sardegna era completamente ricoperta dall'acqua, facendo parte di una porzione del margine settentrionale di Gondwana, in zona dal clima abbastanza caldo, con un fondale sabbioso argilloso.

Il Cambriano sardo è piuttosto ben conosciuto e studiato da anni, grazie anche all'estrema potenza di alcuni dei suoi affioramenti, come quelli che si trovano nella zona del Sulcis, nell'Iglesiente e in generale nella zona centro - meridionale dell'isola (Barca &Spano, 2008).
La base del Cambriano è documentata da depositi silicoclastici, con arenarie, argille e livelli calcarei depositati in ambiente marino, probabilmente proveniente dall'erosione subarea di Gondwana, che riversava lungo i margini abbondanti quantità di sedimenti.

C'era una volta in Italia: il Precambriano sardo

Quando si parla di fossili spesso si sentono nomi di località esotiche, posti lontani e misteriosi. A volte sembra che la paleontologia esista solo all'estero, in Cina, in Argentina, negli Stati Uniti. Eppure, anche la nostra cara Italia ha una storia geologica e biologica antichissima, e le tracce di questa storia sono giunte sino a noi più frequentemente di quanto pensiamo.
Per continuare con la filosofia di Paleostories, il cui scopo primario è dare un pò di spazio a quegli argomenti paleontologici che sono spesso ingiustamente messi da parte, ho intenzione di iniziare una serie di post che ripercorrano la storia della vita sulla Terra in base al record fossile italiano.
Intervallerò i post con altri di argomento vario (in base a quello che mi viene in mente, nuove scoperte, riflessioni, etc..). 
Viaggeremo nel tempo per scoprire che bene o male quasi tutti i periodi della storia della vita, dal Precambriano all'Olocene, sono rappresentati da fossili trovati entro i nostri confini.
E così, quando qualcuno vi chiederà le bellezze del nostro paese, forse vi ricorderete di qualche post e avrete qualcosa in più da poter raccontare.

Il nostro viaggio comincia circa 600 milioni di anni fa, verso la fine del Precambriano, Sardegna.
Le più antiche rocce attualmente conosciute provengono da neanche così rare zone dell'isola sarda, in particolare nella sua parte sud est- sud ovest, e in zona settentrionali come la Gallura e l'Asinara.
La loro attribuzione alla parte finale del Precambriano non è così sicura, ma recenti lavori hanno comunque portato dati a supporto di questa datazione (De Muro et al., 2009).
Come è noto, questo periodo della storia della Terra è molto poco conosciuto, per cui, anche se di dubbia datazione e senza un numero di fossili così cospicuo, ritengo che almeno sapere dell'esistenza di depositi prepaleozoici in Italia sia un must per tutti quelli che vogliono avere coscienza della storia geo-paleontologica del nostro paese.

Carnevale della Biodiversità VI Edizione: Lo strano caso degli animali con le ruote

Questo post partecipa alla Sesta Edizione del Carnevale della Biodiversità.
 Il tema di questa edizione è: "Ho visto cose..la biologia dei mondi fantastici"
Per l'occasione, su Paleostories parliamo di un tema affasciante nel mondo della biologia, le ruote.



Quando frequentai il corso di evoluzione biologica all’università, una delle mie lezioni preferite fu quella relativa ai vincoli e alle regole della vita.
Prendere atti dei limiti dimensionali degli organismi o del fatto che molte piante si sviluppano seguendo la successione di Fibonacci fu per me estremante interessante, ma ciò che mi colpi di più fu il discorso relativo al perché gli animali non possono avere le ruote.
Pensateci bene e vedrete che non è difficile capire perché in naturale le ruote non esistono: innanzi tutto, avere una ruota vuol dire possedere una struttura circolare capace di ruotare intorno ad un asse. Ovviamente, perché il sistema funzioni queste due parti devono essere a stretto contatto ma separate e indipendenti. 
Questo però porta al problema fisiologico di come mantenere all’interno dei parametri vitali entrambe le parti (il problema sarebbe soprattutto la ruota): come un organismo potrebbe portare nutrienti, ossigeno, enzimi, etc ad una parte del corpo che è staccata dal sistema centrale?
Oltre a questo, uno dei motivi per cui gli animali non hanno sviluppato le ruote è, banalmente, l’assenza di strade: senza superfici lisce e uniformi, avere le ruote non sarebbe così vantaggioso. 
I substrati della Terra sono spesso irregolari, accidentali, scabri, più ad atti ad arti mobili e flessibili che a ruote. 
Dunque, cosa me ne faccio di una ruota se poi averla è più svantaggioso che non averla?

Ecco quindi che, grazie alla logicità di queste risposte, all’epoca anche io mi convinsi del fatto che fosse praticamente impossibile che gli animali potessero aver evoluto le ruote.
Le mie convinzioni crollarono quando, con mia immensa sorpresa, incontrai un gruppetto di animali davvero speciali.

Coming soon: il Carnevale della Biodiversità.


E' con grande piacere che vi annuncio l'imminente ritorno del Carnevale della Biodiversità, a cui quest'anno parteciperà anche Paleostories.
Per chi non lo conosciesse, il Carnevale della Biodiversità è una sorta di "manifestazione culturale" a cui aderiscono diversi blog di argomento biologico - naturalistico. La manifestazione si svolge attraverso la contemporanea pubblicazione da parte dei blog iscritti di post che seguano tutti lo stesso tema prefissato. Il bello del CdB è che ogni blog porta le sue diverse tematiche e competenze ad un argomento comune, in modo da fornire anche un bello spunto di integrazione e confronto tra le diverse discipline.
Dopo le edizioni precedenti, che hanno toccato diversi argomenti come le nicchie estreme o l'imporanza delle dimensioni nella biodiversità, avrà come tema il fantastico e l'immaginazione. Il mondo della fantascienza in cui la razionalità della scienza si fonde con il mondo onirico della fantasia.

Il nome del tema sarà: “Ho visto cose… La biologia dei mondi fantastici” 

I post saranno postati tutti insieme il 12 dicembre.

Mi raccomando, non perdetevi l'evento, qui come sugli altri blog partecipanti.



Megalocoelacanthus e la bellezza della noia

I celacanti sono da sempre dipinti come un gruppo molto conservativo, che durante la loro evoluzione ha avuto poche modifiche anatomiche. Dalla loro nomea di animali noiosamente sempre uguali  è immancabilmente derivato il mito popolare per cui i celacanti sono i fossili viventi per definizione (ne ho parlato un po’ qui).

Tuttavia, nel mondo paleontologico questo mito è stato duramente abbattuto diverse volte grazie alla scoperta dei celacanti paleozoici, come Miguashaia, Holopterygius o Allenypterus, la cui morfologia è indubbiamente molto diversa da quella di Latimeria.


Miguashaia














Se consideriamo l’intero record fossile dei celacanti, essi ci appaiano un gruppo abbastanza eterogeneo, che durante la sua storia evolutiva ha sperimentato diversi adattamenti morfologici ed ecologici. 
Se andiamo a guardare nel dettaglio, però, ci accorgiamo che forse forse parte del mito può essere considerata vera: Friedman & Coates (2006), hanno evidenziato come la massima disparità morfologica dei celacanti è stata raggiunta nelle prime fasi della loro evoluzione, nel Devoniano Medio, ma che in seguito, dopo il Carbonifero, il gruppo ha subito un netto calo nella diversità morfologica a discapito di un aumento della diversità tassonomica (ossia, più specie diverse ma con morfologie più omogenee).

Latimeria chalumnae. Disegno di Fabrizio Lavezzi

A parte l’attuale Latimeria, i celacanti la cui forma può essere paragonata a quella della standard “latimeriforme” sono tutti vissuti nel Mesozoico.
I celacanti mesozoici sono raggruppabili in due gruppi distinti, Mawsoniidae, con un cranio lungo, basso  e ampio, e Latimeriidae, con un cranio invece più corto, tozzo, e stretto.
Nel Mesozoici, sembra che i celacanti siano cambiati più per le proporzioni anatomiche dei vari elementi scheletrici e per le dimensioni corporee, che per vere e proprie modifiche strutturali.
In particolare, anche i celacanti furono ingolositi dalla moda del momenti e nel Cretaceo “concentrarono i loro sforzi” in un considerevole aumento di dimensioni.
Un bell’esempio di questo episodio è stato pubblicato sull’ultimo numero di Plos One.

Dutel et al. ridescrivono i resti di Megalocoelacanthus dobiei, un celacanto gigante del Cretaceo superiore.
I fossili di questo animale provengono da strati del Campaniano inferiore di Kansas (Niobrara Formation, forme più nota per i fossili di dinosauri quali Niobrarasaurus) e Alabama (Blufftown Formation).

Gli osteostraci e i falsi miti

Ci sono nomi nella scienza, così come nel linguaggio comune, la cui celebrità è inversamente proporzionale alla loro vera importanza, o, peggio, al loro essere fuorvianti e creatori di falsi miti.
Tra questi vi è senza dubbio il termine agnati.

Fondamentalmente agnati significa senza mascella, e fin qui nessun problema, visto che effettivamente troviamo vertebrati senza mascelle sia oggi (i cyclostomi) che nel passato (ne abbiamo visti parecchi esempi). 
Nella visione popolare però il termine agnato è sempre reminiscenza di un qualcosa di primitivo, di sperimentale, un tentativo (finito male) della natura. 
Insomma, gli agnati non sono proprio considerati come le più meritevoli e ben riuscite creature nel panorama dell’evoluzione dei vertebrati fossili.

Tutto questo però è un mito che deve cadere.

Nei post precedenti abbiamo visto come non esista un vero e proprio gruppo degli agnati. 
A parte il non avere le mascelle, i vari gruppi presentano tutti morfologie molto diverse tra loro, a anche volte estreme e aberranti
Questo perché in realtà Agnatha non costituisce un gruppo monofiletico, ma bensì i vari gruppi che per convenzione ricadono al suo interno rappresentano invece forme diverse di vertebrati basali, posti dopo la divergenza tra gnathostomi e cyclostomi. 
Dagli anaspidi agli heterostraci, dai telodonti ai galeaspidi, tutte queste forme sono più vicine ai pesci con le mascelle vere e proprie che non ai pesci senza mascelle attuali, in un percorso evolutivo in cui piano piano si assiste alla comparsa dei più importanti caratteri che poi formeranno il corpo dei veri gnathostomi, come narici pari, pinne pettorali, scheletro interno, etc.. 
Se vogliamo parlare correttamente dunque, dobbiamo riferirci a questi animali come stem gnathostomi.
Il gap morfologico che separa gli attuali cyclostomi dai vertebrati con mascelle è oggi parzialmente ridotto proprio grazie alla scoperta dei numerosi fossili di pesci senza mascelle paleozoici, che hanno aiutato i paleontologi a comprendere alcuni dei più importanti passaggi nell’acquisizione dello schema corporeo dei vertebrati con mascelle attuali. 


Questo è il penultimo post della serie sui pesci senza mascelle fossili. Spero di avervi presentato in maniera chiara il misterioso mondo di questi bizzarri animali, e di averveli fatte apprezzare un po’ di più.
Oggi andremo a conoscere Osteostraci, il gruppo di agnati che attualmente viene considerato dalla maggior parte dei paleontologi (Janvier, 1996; Donoghue et al., 200) come quello più vicino al punto di origine dei pesci con mascelle vere (dopo vi dirò il perché).

Paleostories sul portale evoluzionistico Pikaia.edu

Scusate ma in questa settimana non ho avuto molto tempo per preparare un post.
Sono impegnato con un bel pò di progetti che devo portare avanti e questo mi ruba tempo per il blog. Prometto che questa settimana mi metto al lavoro per scrivere almeno uno dei due post che mancano per finire il nostro viaggio nel mondo dei pesci senza mascelle.

Nel frattempo, sono lieto di comunicare la collaborazione iniziata tra Paleostories.blogspot e il famoso sito  Pikaia.edu - il portale dell'evoluzione
Pikaia è un importante sito di divulgazione scientifica, nella cui redazione vi sono anche grandi nomi della scienza italiana, che si pone l'obbiettivo di diffondere in maniera chiera e scientifica vari aspetti dell'evoluzione e delle discipline che la studiano.

Al momento su Pikaia sono stati pubblicati due miei articoli (un inedito e quello su tungsenia) e altri due (uno sui pesci volanti e uno inedito) sono in uscita nella prossima settimana.

Spero di poter, in questo modo, tappare un pò i piccoli vuoti che ogni tanto si vengono a formare nel blog.

Se qualcuno ha guardato di recente la pagina "indice del blog", avrà già avuto un'anticipazione su quelli che saranno i prossimi due post tematici, che andranno a chiudere la nostra avventura tra i pesci senza mascelle. Spero di riuscire a farli entrambi per la fine del mese.

Dunque alla prossima!
 


Quando i pesci avevano le ali

Tra le tante cose che non si conosco della storia paleontologica del nostro paese, una rigurda il fatto che l’Italia è uno dei pochi posti al mondo in cui sono stati trovati i fossili di antichi “pesci volanti” mesozoici. 

Attualmente, sono solo pochi i pesci ossei in grado di balzare fuori dall’acqua per qualche metro (chi più, chi meno) e “volare” (o meglio, planare, come vedremo dopo), sopra la superficie dell’acqua. 
I più famosi sono i taxa appartenenti al gruppo Exocoetidae, per intenderci i “veri pesci volanti”.
Essi, grazie all’ampia superficie data dalle loro pinne pettorali modificate e dalla spinta della loro pinna caudale ipertrofica, riescono a planare anche per lunghe distanze.


La meravigliosa posa di un exocoetide "in volo".

L’altro gruppo è rappresentato dai ben più strambi pesci accetta, volatori di acqua dolce del gruppo dei Gasteropelecidae.
A differenza degli exocoetidi, essi non presentano una coda modificata per la propulsione, ma delle pinne pettorali allargate e uno sterno piuttosto sviluppato, tale che essi riescono a fare un qualcosa di analogo al volo battuto e, sbattendo le loro pettorali, a “volare” per pochi metri.
Una cosa simile avviene anche in Pantodon, un osteoglossiforme dalle pettorali molto sviluppate.

Carnegellia, un pesce accetta

Pantodon

Entrambi questi gruppi rappresentano faune piuttosto moderne, legate al momento di grande radiazione dei Teleostei avvenuto all’incirca nell’Eocene (circa 50 – 35 milioni di anni fa).
Tuttavia, chi studia i pesci fossili sa che la presenza di pesci volanti non è una novità nell’evoluzione degli Actinopterygii. 

Tungsenia paradoxa: il più antico stem tetrapode attualmente noto

Notizia freschissima.
Questa settimana un nutrito numero di autori capitanati da Jing Lu descrivono i resti incompleti di un nuovo taxon di stem tetrapode, o, per dirla in modo più semplice (anche se un pò più grossolano), di un altra di quelle forme intermedie tra "pesci" e tetrapodi.
L'animale, lungo circa una ventina di centimetri, è stato battezzato Tungsenia paradoxa, nome che, come vedremo, non sfugge alla regola "nomina sunt consequentia rerum" che abbiamo visto poco tempo fa.
Uno dei dati più importanti relativi a questa scoperta è la sua datazione: i resti di questo animale, provenienti da depositi cinesi (Posongchong Formation, nordest della provincia dello Yunnan), risalgono a circa 409 milioni di anni fa (Devoniano inferiore) e sono attualmente i più vecchi resti di uno stem tetrapode.
Inoltre, fino a questa scoperta, era presente un gap di circa 16 milioni tra i resti del più antico stem tetrapode noto, Kenichthys, e quelli dei dipnoi più antichi, come Diabolepis. Tungsenia riempie in qualche modo il gap, inserendosi all'incirca nel periodo stimato di separazione tra dipnoi e tetrapodi.

Il simpatico sorriso di Tungsenia.

Per chi conosce un pò i dipnoi (io ne ho parlato qui), il nome paradoxa rievoca subito un altro animale, Lepidosiren paradoxa, appunto un dipnoo (attuale). E Tungsenia non è stato chiamato paradoxa solo per la sua bizarra anatomia e posizione filogenetica, ma anche per un chiaro rapporto con i dipnomorphi (i dipnoi attuali e il loro parenti).

Esso infatti mostra caratteristiche morfologiche intemedie tra tetrapodi (come ad esempio una lama dentale parasinfidale piatta e un foro per la vena pituitaria sul processo del basipterigoide) e dipnomorphi (ad esempio un parasfenoide ampio). Anche a livello morfologico, Tungsenia sembra riempire un pò il gap esistente tra primi stem tetrapodi e dipnomorphi.

Quando ho partecipato all'ultimo SVPCA, quest'anno ad Oxford, ho notato come vi fosse un grande interesse per l'applicazione delle tecniche mediche (come le tomografie o le lastre a raggi X) agli studi paleontologici. Ho citato un paio di esempi in post del passato e anche nello studio di Tungsenia vi è un'ottima dimostrazione di questa interazione.
Grazie appunto a tomografie a raggi X, Lu et a., 2012 hanno studiato l'anatomia interna del cranio di Tungsenia per trarre indicazione sull'anatomia del cervello dei primi tetrapodi. Essi hanno osservato come alcune delle modifiche del cervello dei tetrapodi, relative al loro passaggio ad un'ambiente terrestre, siano avvenute molto prima di quanto prima pensato, all'inizio della storia evolutiva del gruppo, quando questi animali, come Tungsenia, non "sapevano" ancora che un loro discendente avrebbero un giorno camminato sulla terraferma e scritto appassionatamente la loro storia.

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Bibliografia:
- Lu, J.; Zhu, M.; Long, J. A.; Zhao, W.; Senden, T. J.; Jia, L.; Qiao, T. (2012). "The earliest known stem-tetrapod from the Lower Devonian of China". Nature Communications 3: 1160

La triste storia dei paleontologi di periferia

Se un giorno vi dovessero raccontare che i gusti popolari, le funzionalità mediatiche e le leggende metropolitane non trainano la rigorosa e oggettiva scienza, non credeteci, sono tutte menzogne.
Al giorno d'oggi fare scienza spesso è fare ciò che il mondo non scientifico vuole che il mondo scientifico faccia, e questo vale per gli studi chimici volti alla cosmesi, per l'industria informatica, per gli studi agroalimentari, la biologia medica, etc.
Insomma, ho vari amici laureati il cui lavoro post laurea consiste nell'applicare i loro duri anni di studi scientifici "puri" alla produzione di materiale per il mercato popolare. E il mercato è frutto dei gusti della gente (non c'è niente di male in questo, per carità), che selezionano vari materiali e quindi vari campi di studi, piuttosto che altri. E così chi ha studiato chimica per scoprire il meraviglioso mondo dei polimeri, sognando magari di pubblicare importanti ricerce nel campo, finisce a fare controllo qualità per trucchi o materie plastiche. Il mondo traina la scienza, non il contrario.

La paleontologia è una scienza che per fortuna (o per sfortuna?) non è un gran che applicabile all'economia moderna, non produce nessun materiale innovativo, non sforna farmaci per salvare vite umana, non aiuta l'ambiente scoprendo prodotti per lo smaltimento dei rifiuti,ect.
Dunque, direte voi, la paleontologia ha ancora i mezzi per essere scienza a se, capace di far germogliare tutti i suoi campi senza dover prediligere questo o quell'altro ramo in base al mercato popolare.
Falso, falsissimo.


Pituriaspida e le droghe australiane

Gli antichi latini solevano dire “nomina sunt consequentia rerum” (Giustiniano, Istitutiones, libro II, 7, 3 ), “i nomi sono la conseguenza delle cose”, per intendere come i nomi degli oggetti, delle persone, degli animali siano in qualche modo collegati al loro essere, ai loro modi di fare, alle loro qualità.

In effetti, se ci pensate bene,  ciò è palese e ben visibile tutto intorno a noi: molti cognomi di persona derivano da antichi mestieri (ossia cosa facevano gli antichi membri della famiglia) o a luoghi geografici indici di provenienza, o a caratteristiche esterne.  Pensate ai vari Napolitano, Dalla Chiesa, Baresi, Longhi, Cacciatore, Lombardo, Rossi, etc
O pensate agli oggetti, il cui nome spesso esprima lo loro funzione o il loro stato (gelato, ghiacciolo, caldarroste, asciugamano, tritacarne, accendino, etc..). 

Lo stesso discorso può essere applicato anche alla sistematica, o meglio ancora al processo di nomina di una specie (ho parlato di quest’argomento qui). Molto spesso, quando uno scienziato deve decidere che nome dare ad una specie nuova, segue lo stesso principio che abbiamo visto per i cognomi o per i nomi degli oggetti. 
E’ così che troviamo nomi di taxa che derivano dal luogo in cui ne sono stati trovati i fossili (es. Sacabambaspis, dal villaggio di Sacabambilla, in Bolivia, o ancora Tanystropheus meridensis, dal paese di Meride, in provincia di Lecco, Italia, o Argentinosaurus, dallo stato dell’ Argentina, etc..) o con riferimenti al nome dello scopritore (es. Stoppania ornata, dal nome del geologo Antonio Stoppani, o come Saurolophus osborni, in onore del paleontologo americano Osborn), o  ancora ai loro caratteri morfologici (Didelphodon “dente da opossum”, Baryonyx “artiglio ricurvo”, Ctenognathichthys“pesce dai denti a pettine”, etc..).
Morale della favola, dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei.
Prestate molta attenzione ai nomi, posso dirci tante cose prima ancora di vedere le sembianze di chi porta tale nome.

Collegandomi a questo, oggi parleremo di un gruppo di pesci senza mascelle molto ristretto e bizzarro, il cui nome porta con se una piccola ma divertente storia.


Non di soli agnati vive l'uomo...

Paleostories non è un blog sugli agnati (nè sui pesci).
E' vero, fin'ora abbiamo parlato principalmente di agnati fossili, di cyclostomi e in generale di vertebrati non tetrapodi (ossia, ciò che impropriamente viene riunito nel gruppone dei "pesci").
Ma ciò non significa che questo blog sia finalizzato alla divulgazione della paleontologia degli agnati o dei pesci.
Per ora ho affrontato tali argomenti perchè inquadrati in un percorso avente come tema l'origine dei vertebrati, e perchè, senza ombra di dubbio, gli agnati stanno nel mondo paleontologico come la serie B sta nel mondo del calcio, ossia non se li fila nessuno. E lo scopo di questo blog è anche dare spazio a quei temi paleontologici che a dispetto della loro importanza nell'indagare la storia della vita sulla Terra sono poco noti al grande pubblico perchè poco legati al mondo dei documentari, della scienza popolare.

Ma, fin'ora mi sono occupato anche degli agnati soprattutto perchè è un campo in cui ho lavorato (e in cui sto attualmente lavorando) e che conosco discretamente bene, su cui quindi mi sento in grado di fare un post. Credo non vedrete mai qui un post sui teropodi marocchini o sui felini del pliocene americano, giacchè di questi argomenti so ben poco.

Tuttavia, se qualche speranzoso lettore (e so che c'è) ha sperato fin'ora che mi occupassi di altro, magari di tetrapodi mesozoici, sappia che quel giorno è arrivato.
Dunque, nei prossimi mesi (quando mi sentirò pronto per farlo) può essere che comincerò a scrivere qualcosa sui curiosi tetrapodi mesozoici che mi accingo a studiare, non si sà mai che poi mi prenda la passione per questi argomenti e Paleostories si tramuti in un blog unicamente mesozoico (dubito fortemente)....

Come anteprima, eccovi la foto di uno degli esemplari su cui starò chino nei prossimi mesi....



P.S.
Ovviamente, il nostro discorso sugli agnati paleozoici non è finito, quindi, cari miei mesozoofili, attendete con pazienza...

Galeaspida e l'isolamento geografico

Predete un gruppo di individui di una popolazione di una specie a caso e separatela geograficamente dalla popolazione originale per diverse generazione; alla fine otterrete un gruppo di individui abbastanza diverso dal gruppone di partenza tale da poterlo considerare come una cosa a se stante, sia geneticamente che morfologicamente.
A volte, il luogo in cui il vostro gruppetto vivrà separato dagli altri sarà così circoscritto e così particolare, che essi svilupperanno caratteristiche anche del tutto diverse da quelle di partenza, spesso peculiari e inattese.

Questo potrebbe essere a grandi linee il riassunto del concetto di speciazione allopatrica, sviluppato intorno agli anni '70 dal celebre evoluzionista Ernst Mayr, per cui uno dei maggiori meccanismi di speciazione è l'isolamento geografico (ovviamente, non è l'unico).
Nel mio blog ho più volte cercato di sottolineare l'importanza della geografia nella storia dell'evoluzione dei vertebrati, di come essa porti allo sviluppo di forme endemiche molto specializzate e bizzarre, di come si può seguire una sorta di storia biogeoevolutiva, di come gruppi filogeneticamente anche distinti ma abitanti ecosistemi simili tendino ad evolvere alcune caratteristiche in comune.
Gli organismi viventi, anche fossili, interagiscono e hanno interagito anche con altri parametri oltre la loro mera esistenza. Mangiano, bevono, si muovono, muoiono, vengo predati, hanno bisogni e adattamenti fisiologici, vengono in qualche modo plasmati da quello che gli sta intorno.
Sinceramente non mi piace chi studia i fossili come entità singole separate dal loro mondo, per quanto poco conosciuto.

Ho iniziato il post con questa breve premessa perchè oggi incontreremo un gruppo veramente straordinario di pesci senza mascelle, la cui evoluzione richiama in un certo modo il concetto di isolamento geografico.

Per chi studia l'evoluzione dei vertebrati, e in particolare la comparsa delle mascelle a partire da organismi "agnathi", i galeaspidi rappresentano un gruppo molto importante, giacchè posiedono alcune caratteristiche anatomiche (ad esempio la prima evidenza di separazione tra organi olfattori e canale  ipofiseale, separato nei veri gnathostomi ma non indipendente invece negli altri agnathi) derivate e altre invece primitive, in una condizione intermedia (che brutta parola!) tra quella degli animali con e senza mascelle (Gai et al. 2011).

Ritengo però questi dettagli particolarmente specifici e non nello stile di Paleostories, il cui scopo è sempre stato quello di rendere gloria a gruppi sconosciuti in maniera piaceva e rilassante, senza addentrarsi troppo in tecnicismi per pochi (per quello, è un buon inizio leggersi gli articoli in bibliografia). Dunque, parlerò soprattutto delle caratteristiche anatomiche e biogeografiche di questo gruppo.

I thelodonti e l'importanza dei dettagli

Quando iniziai a lavorare per la tesi di laurea triennale, il mio relatore mi disse che avrei dovuto contare una per una, fila per fila, riga per riga, le scaglie dell’esemplare di pesce fossile che avrei dovuto studiare. Immaginate cosa pensai inizialmente di tutto ciò.

Tuttavia, dopo un po’ di tempo che ero piegato sul reperto e contavo e annotavo il numero di scaglie che componevano ogni riga, mi accorgevo di quante informazioni potevano essere ricavate da elementi anatomici così piccoli e apparentemente insignificanti.
Le scaglie hanno una forma, a volte sono ornamentate o possiedono processi peculiari, hanno un orientazione precisa, possono essere disposte tra di loro in molti modi (ad esempio embricate, allineate, sovrapposte, etc..), il loro quantitativo e la loro forma possono variare a seconda della posizione del corpo in cui si trovano (ad esempio essere diverse vicino al cranio rispetto alla zona caudale), etc… Insomma, non pensiate che studiare le scaglie sia una cosa banale e semplice.
La storia di oggi parla del gruppo di vertebrati fossili che forse detiene il primato di importanza per le scaglie: Thelodonti




Paleostories al Paleomeeting

Eccomi tornato da una settimana paleontologica veramente entusiasmante (a parte problemi aerei al ritorno).
Sono stato al 60 th meeting of the Symposium of Vertebrate Palaeontology and Comparative Anatomy, o SVPCA per gli amici, che quest'anno si è tenuto ad Oxford dal 10 al 15 settembre.
E' stato il mio primo meeting extraitalico e devo dire che mi ha impressionato, oltre che l'elevato contenuto paleontologico di presentazioni e posters, molto l'atmosfera amichevole e cordiale dell'evento, nonostante vi fossero anche paleontologi di larga fama come il (sempre sorridente) Michael Benton, Susan Turner, Paul Barret, Susannah Maidment, David Unwin, David Norman, Robert Asher e tanti altri.
Gli argomenti sono stati tanti e hanno spaziato dai vertebrati basali (yeeehhh) ai mammiferi, passando per rettili marini, pterosauri (molti), dinosauri, paleoicnologia, metodologie di analisi, etc..
E' stata anche la prima occasione per me di poter esporre ad un pubblico più esperto di me un mio lavoro scientifico, un poster su uno studio in preparazione di cui magari vi parlerò. Purtroppo sono dovuto scappare per prendere l'aereo per il ritorno (clamorosamente perso) e non ho potuto assistere ai momenti finali del meeting, ma pazienza.

Se posso darvi un consiglio, fate di tutto per andare a questi eventi, perchè la paleontologia, lascienza o le vosstre passioni in generale vanno vissute di persona, non solo studiate. Da oggi in poi sarà bello poter associare voci e volti ai nomi che quotidianamente leggo nelle pubblicazioni scientiche, rende tutto più umano e reale (e, forse meglio così, meno mitico e sacro).
Un giorno il mio professore di geologia (Giovanni Muttoni, unimi) ci disse a lezione che i sacrifici economici fatti per andare a meeting e congressi internazioni sono quelli che si ringraziano di più in futuro: sperò avrà ragione.
Di sicuro, sono contento della bella esperienza e di aver conosciuto buona parte dei presenti, sperando che con qualcuno riesca a legare a livello professionale o amichevolmente.
Certamente tornerò l'anno prossimo e

Ma ora basta parlare di me, è tempo di tornare ai nostri (o forse solo miei) cari pesci senza mascelle: nel prossimo post conosceremo il gruppo dei thelodonti e capiremo quantro, in certi casi, anche una piccola manciata di scaglie possano raccontarci tanto sulla storia della vita passata.

alla prossima,
su Paleostories!

Kerreralepis e la caduta di Anaspida

Premessa: Scusate se pubblico questo post solo ora ma sono veramente preso dagli ultimi dettagli per il meeting di Oxford e ho pochissimo tempo per fare altro. E scusate se il post vi sembrerà breve o non troppo specifico, il motivo è lo stesso.

Chi studia la posizione dei vari taxa fossili all’interno di un albero filogenetico, sa che il fattore tempo è assolutamente trascurabile. Una specie più antica può essere più derivata rispetto ad un'altra pur essendo appunto più vecchia.
Tempo e filogenesi non sembrano dunque andare molto a braccetto, almeno superficialmente.
In tutti questi mesi qui, su Paleostories, abbiamo ripercorso le ultime ipotesi sull’origine dei vertebrati, partendo dai cladi esterni a tale gruppo (come quelli contenenti le ascidie, gli anfiossi e misteriosi resti fossili cinesi ancora poco chiari), passando per i vertebrati più primitivi (ma forse no) attualmente viventi,  fino ad arrivare ai bizzarri e maestosi heterostraci del siluriano.
Parlando di vertebrati basali fossili, ho cercato di dare un senso cronologico all’evoluzione, prediligendo i gruppi più antichi rispetto a quelli più primitivi. Abbiamo visto i primi vertebrati del cambriano, poi discusso ampiamente dell’ordoviciano, e infine ci siamo addentrati nel siluriano.
Ebbene, proprio qui nel siluriano si trovano i fossili dei più primitivi vertebrati non cyclostomi attualmente noti: gli anaspidi.
In realtà, se vi ricordate, abbiamo già incontrato questo bizzarro gruppo di animali qui, quando ho affrontato la questione riguardante la (presunta) primitività di Cyclostomata rispetto a Gnathostomata. Il caso di Euphanerops e degli “anaspidi nudi” è sicuramente uno degli argomenti più interessanti per gli esperti del settore.
Oggi, dunque, dopo aver ignorato per tanto tempo il principio filogenetico dell’anacronismo, andiamo a scoprire quelli che, ad oggi rappresentano i più basali tra tutti gli gnathostomi noti, ossia i più primitivi vertebrati non cyclostomi conosciuti.

Coming soon: Palestories riparte!

Cari (eventuali) lettori,
non vi preoccupate, non sono morto. Sono rientrato pochi giorni dalle vacanze estive, dove non avevo internet e non potevo collegarmi al blog. Non ho comunque smesso di lavorare per me e per voi.

Da settembre Paleostories. blogspot ripartirà con vecchi e nuovi argomenti, nel tentativo di continuare la divulgazione dei gruppi meno noti nella paleontologia dei vertebrati, per dare un pò di gloria anche a chi spesso non ne ha o ne ha poca.

Ecco dunque un paio di anticipazioni di quello che vedrete nei prossimi mesi:

- Parleremo ancora del Siluriano e dei suoi bizzarri agnathi fossili, soffermandoci in particolare su Anaspida, Thelodonti e Osteostraci. Vedremo le loro anatomie, la filogenesi e il loro significato evolutivo. Buono spazio sarà dato al carattere endemico della distribuzione di alcuni di questi gruppi.

- Nella seconda metà di Settembre sarò ad Oxford per la 60esima edizione del SVPCA,
The Annual Symposium of Vertebrate Palaeontology and Comparative Anatomy, che quest'anno si terrà ad Oxford, per presentare il poster di un mio (et al.) lavoro scientifico su un agnato ordoviciano. Al ritorno vi potrò raccontare alcune delle cose che bollono nel grande calderone della paleontologia dei vertebrati

- Paleostories.blogspot non è un blog dedicato ai pesci (parola infelice di cui abbia già discusso), come qualcuno potrebbe pensare. Finita la nostra trattazione sugli agnati, emergeremo dalle acque per incontrare alcuni bizzarri gruppi di rettili mesozoici, poco noti al pubblico ma di grande importanza, alcuni dei quali probabilmente erigibili a stendardi paleontologici della nostra terra italica.
Spero che il menù sia di vostro gradimento,
a presto!


Heterostraci alla ribalta parte 5: Psammosteida e il fascino degli pteraspidomorphi

Psammosteida comprende i più grandi heterostraci mai apparsi sulla Terra, con forme che superano il metro e mezzo di lunghezza. La loro morfologia ricorda vagamente quella degli altri Pteraspidiformes, anche se essi presentano una forma più appiattita e larga.
In vari siti e libri popolari viene addirittura scritto che alcuni psammosteidi sembrano degli pteraspidi esplosi.

In effetti, solo alcune piccole differenze distinguono questo gruppo dagli altri pteraspidiformi: caratteristica distintiva è la presenza di una piastra postorbitale, generalmente allungatam situata dietro la piastra che contiene le orbite; altre caratteristiche includono la presenza una maggiore complessità morfologica cefalica, con più piastre degli altri pteraspidiformi, orbite poste lateralmente ma verso l'alto, come come in posizione più dorsale è spostata la bocca, pistre cornuali a volte ridotte e comunque meno allungate che negli pteraspidiformi, una diversa struttura istologica e altre.
Guardando la loro morfologia esterna, essi somigliano in qualche modo agli amphiaspidi, per il loro profilo piatto e largo. Proprio per questo motivo, vari autori hanno ipotizzato che essi abitassero zone vicine al fondo, a volte forse a stretto contatto con il substrato, se non fossori. E infatti gli psammosteidi posso essere paragonati, se non altro come forma, alle razze.

Drepanaspis gemuendensis. Disegno di Stefano Broccoli

Heterostraci alla ribalta Parte 4: Pteraspidiformes e gli aerei di carta

Tra tutti i gruppi interni a Heterostraci, Pteraspidiformes ne è sicuramente il fiore all'occhiello: diffusi dalla fine del Siluriano superiore alla fine del Devoniano inferiore, essi svilupparono conformazioni così bizzarre e apparentemente aliene da far incuriosire anche l'occhio annoiato di chi pensa che non ci sia niente di esaltante in un "pesce estinto senza mascelle".
Provate a guardare questo Doryaspis, con il suo rostro seghettato (probabilmente mobile) e le due proiezioni laterali ornate di piccole spine. In un'eventuale immersione in una laguna di inizio Devoniano credo sarebbe uno dei protagonisti assoluti del nostro album fotogratico.

Doryaspis. Disegno di Fabrizio Lavezzi

Heterostraci alla ribalta Parte 3: Amphiaspididae e le sabbie siberiane

Gli heterostraci sono il gruppo più derivato all'interno di Pteraspidomorphi, il clade che contiene i più antichi (ma non i più primitivi) vertebrati senza mascelle noti, come arandaspidi e astraspidi. 
Questi ultimi furono piuttosto comuni nell'Ordoviciano e li abbiamo ampiamente trattati in altre parti del blog.
 In questo mese di luglio stavo invece presentando gli heterostraci, che, come abbiamo già visto qui, furono uno dei gruppi di vertebrati più importanti del Siluriano. 
Nello scorso post abbiamo incontrato Cyathaspidiformes, uno dei due grandi cladi che compongono Heterostraci (Cyathaspidiformes+Pteraspidiformes). In particolare avevo narrato la storia evolutiva ed ecologica di Cyathaspididae, il gruppo più noto e diffuso di Cyathaspidiformes. 
Al suo interno è però incluso un ulteriore gruppo di particolarissimi heterostraci, Amphiaspididae, che nello scorso post ho volontariamente omesso poiché le loro caratteristiche morfologiche e la loro strana connotazione geografica necessitava di un post a se stante. 
L’altra volta avevo iniziato il post con un’immaginaria immersione nel Canada siluriano, dove avevamo avvistato uno dei primi cyathaspidiformi. 
Oggi invece facciamo un bel salto temporale e geografico per ritrovarci in Siberia, nel Devoniano inferiore. 

A differenza dei loro stretti parenti cyathaspididi, gli amphiaspididi furono esclusivamente devoniani e limitati ad un periodo ristrettissimo della storia della vita. 
Sebbene a me non piaccia particolarmente affrontare un gruppo di organismi in modo sistematico, mentre prediligo un approccio più biogeografico e temporale (fin'ora ho sempre cercato di parlare di taxa ordoviciani o siluriani, indipendentemente dal loro grado di parentela), ritengo comunque sia interessante vedere gli altri gruppi di heterostraci, anche se non propriamente siluriani.
Questo e i prossimi due post (entrambi su Pteraspidiformes) chiuderanno la nostra trattazione sugli heterostraci (e quindi su Pteraspidomorphi) e saranno ambientati tutti nel devoniano. 
Dopo,torneremo nei mari del Siluriano per vedere quali altri taxa di vertebrati furono i protagonisti di questo periodo. 

Ricostruzione di un fondale marino siberiano nel devoniano. 1 e 2 rappresentano due amphiaspidi, in particolare Lecaniaspis (1) e Olbiaspis (2). Sullo sfondo un crossopteryigio. Da Novitskaya, 2004

Impegni ordoviciani

Scusate se sembra che il blog sia fermo. Sono stato molto impegnato questa settimana nell'ultimare un (nuovo) lavoro di revisione su un (vecchio) vertebrato agnato ordoviciano ed ero molto preso. Oggi ho consegnato tutto il materiale quindi da domani sono nuovamente operativo. Presto posterò la terza e la quarta parte della serie sugli heterostraci.
Scusate il ritardo, grazie per la pazienza

a presto

Heterostraci alla ribalta Parte 2: la vita e la morte di Cyathaspididae

Immaginiamoci di essere sul punto di iniziare un’immersione in un mare del Siluriano.
Siamo in Canada, all’incirca nella zona vicino all’Alaska, dove c’è la regione amministrativa dei Territori di Nord Ovest. 
Intorno a noi, la Terra comincia ad essere abbastanza frequentata, con le prime piante, alte anche qualche metro, e un brulichio di insetti, ragni e millepiedi. Dopo il gelo di fine Ordoviciano, la terraferma si sta piano piano risvegliando.
Ma quello che ci interessa è il mare.

Ci immergiamo e in poco tempo vediamo passare davanti a noi numerosi animaletti fusiformi, lunghi circa 5 centimetri, dall’aspetto un pò goffo e impacciato. Dalla forma delle piastre e per la presenza di un singolo paio di fori branchiali ci accorgiamo che sono heterostraci. Ci avviciamo per guardare meglio uno di questi curiosi animali. Sta nuotando molto lentamente, spingendosi con la tozza coda munita di pinna simmetrica verticale, con la placca orale aperta, in modo da filtrare l’acqua e nutrirsi delle particelle e dei piccoli organismi contenuti in essa
Nello specifico, abbiamo incontrato un piccolo banco di Athenaegis, uno dei primi heterostraci. 

Athenaegis. Disegno di Stefano Broccoli

Heterostraci alla ribalta Parte 1: Così strani, così diffusi

Se Arandaspida e Astraspida furono i due gruppi di vertebrati più diffusi nell’Ordoviciano, i loro cugini heterostraci diedero il meglio di loro a partire dal Siluriano Medio, fino al Devoniano, rappresentando uno dei più importanti gruppi di pesci senza mascelle, sia come numero di specie che come diversità geografica, che sia mai esistito.
 
Così come i loro parenti arandaspidi e astraspidi, endemici di una certa regione del pianeta Terra (Gondwana per i primi, emisfero Nord per i secondi), anche gli heterostraci furono diffusi solo nell’emisfero Nord, dove si ritrovano in abbondanza in Nord America, Europa e Asia, soprattutto in Canada e Russia. 
 Se vi ricordate questo post, vi verrà in mente che la storia dei vertebrati ordoviciani mostra un certo trend che porta gli pteraspidomorphi a spostarsi (biogeograficamente) da Sud a Nord, con i più antichi arandaspidi a sud e i più giovani astraspidi a nord, e come questo (l’emisfero nord) sia il punto dove poi i vertebrati, dopo l’evento di estinzione di massa di fine Ordoviciano, ripartirono nella loro corsa evolutiva. E da qui partirono infatti anche gli heterostraci.

Possiamo dire, non me ne vogliano i miei amati arandaspidi, che gli heterostraci furono ben più complessi degli altri pteraspidomorphi. 
Il loro nome significa letteralmente “scudi differenti” e questo sia per il fatto che la loro corazza dermica è formata da varie piastre differenziate a seconda della posizione (es. esiste una piastra orale, una piastra pineale, una dorsale, una ventrale, una branchiale, etc..) sia perché la superficie di queste piastre è spesso estremamente elaborata e diversa a seconda delle varie piastre. 
Alcuni addirittura sviluppano delle spine laterali o dorsali, in una meraviglia di forme anche molto dissimili tra loro, come quelle qui sotto.

            Alcuni esempi di heterostraci con vista dorsale della loro parte cefalica. In vista laterale: in alto Anglaspis, un cyataspidiformes, e, in basso, Errivaspis, uno pteraspidiformes Fonte: palaeos.com

Destinazione Siluriano

Quando ho iniziato questo blog, uno degli scopi era poter dare spazio a quegli argomenti che, perché poco popolari e (apparentemente) poco appariscenti, sono ignoti al grande pubblico.
Tra tutti i periodi geologici del Paleozoico (e superato da pochi altri in generale), il Siluriano è sicuramente quello più negletto e sconosciuto per chi non è del settore. 
Nei corsi di paleontologia o geologia viene indegnamente snobbato, come se in questo arco di tempo, durato circa 30 milioni di anni (da 443,7 a 416.0, ma si attende la nuova scala stratigrafica perchè sono in corso alcune revisioni), non fosse successo niente.

Invece, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione dei vertebrati, il Siluriano fu un periodo veramente molto importante, in cui le linee di vertebrati (praticamente quasi tutte) che erano apparse nell’Ordoviciano ebbero una grandissima radiazione, conquista tutti gli ambienti sia a livello geografico che ecologico, con la famosa Nektonic Revolution of Vertebrates (Blieck, 2009), di cui parleremo in un prossimo post.
Inoltre, i resti di vertebrati trovati in questo periodo (soprattutto nella sua seconda metà) sono così abbondanti che vengono utilizzati nella biostratigrafia, come fossili guida. Ossia, la presenza di un dato resto, micro o macro che sia, di un dato vertebrato all’interno di un dato strato ci permette di correlarlo ad una precisa scala stratigrafica. Una cosa non banale.

Il Siluriano dunque fu un periodo fondamentale per la storia della Vita, soprattutto quella dei vertebrati e dunque in parte anche di noi stessi.
Nei prossimi mesi ci addentreremo nella paleontologia dei vertebrati siluriani, con un occhio di riguardo soprattutto agli agnati.
Molti post fa avevo detto che avrei iniziato la mia trattazione sui vertebrati agnati parlando degli pteraspidomorphi. Fin’ora abbiamo visto i membri ordoviciani di tale gruppo, Arandaspida, Astraspida e gli enigmatici eriptychiidi
Il Siluriano invece fu il regno dell’ultimo gruppo di Pterasphidomorphi, Heterostraci, che raggiunsero una serie di forme e specializzazioni al di la di ogni fantasia, diventando il gruppo di vertebrati dominante di questo periodo.

Prepariamoci dunque, il nostro viaggio nel Siluriano sta per cominciare.

Non mancate!

L'estinzione di massa di fine Ordoviciano Parte 3: vittime e carnefici

Questo è l’ultimo post della serie sull’estinzione ordoviciana. 
Nel primo abbiamo visto la portata dell’evento glaciale avvenuto verso la fine di questo periodo, probabilmente la causa prima dell’estinzione; nel secondo abbiamo invece tentato di capire quali furono i motivi che portarono all’innesco di questa fase glaciale intensa all'interno di un periodo di clima caldo e umido come fu praticamente tutto l’Ordoviciano. 
In questo ultimo post analizzeremo infine le vittime, la portata distruttiva dell’estinzione e le cause più specifiche che portarono i vari gruppi a subire fenomeni di estinzione in alcuni casi anche superiori al 50%.

Nonostante sia ormai appurato che gran parte della LOME fu causata dalle conseguenze dirette dell’insorgere della glaciazione, è altresì chiaro che il fenomeno di estinzione fu esteso a tutto il globo, anche a zone, come i continenti di Laurentia, Baltica e Siberia, che non erano (o lo erano parzialmente) interessati dalla calotta polare e che stavano vicino alle zone equatoriali. Dunque, benché la glaciazione colpì duramente un mondo di esseri viventi abituati ad un clima caldo e umido globale, non va trascurato il fatto che anche in posti dove la glaciazione si fece sentire meno (come le fasce equatoriali) avvennero drastici eventi di sparizione di taxa. 

L'estinzione di massa di fine Ordoviciano Parte 2: I basalti e il crollo della CO2

Per chi non ha seguito la prima parte della storia (necessaria), leggere qui

Poco prima dell'Hirnantiano e della glaciazione che caratterizza quest'ultimo piano dell'Ordoviciano, è avvenuto un leggero periodo di riscaldamento globale (Fortey and Cocks, 2005), chiamato "Boda event" (d'ora in poi BE), circa 447 milioni di anni fa. Questo picco di temperatura, avvenuto in un clima già piuttosto caldo e umido come quello che caratterizzò tutto l'Ordoviciano, è segnalato da un incremento dell pC02 atmosferica, da un aumento del delta C13 e da tracce biologiche correlate ad un aumento della produttività primaria, soprattutto per quanto riguarda i coralli.
Come abbiamo visto nel post precedente, circa 1-2 milioni di anni dopo, iniziò un periodo di intenso raffredamento globale, con un crollo della concentrazione di CO2 e l'inizio di una fase glaciale molto intensa.
Qualcosa, dunque, non torna.
Com'è possibile che si inneschi un periodo glaciale in un momento di alte temperature?
A questa domanda hanno tentato di rispondere in molti.

L'estinzione di massa di fine Ordoviciano Parte 1: Al freddo e al gelo.

Vi avevo promesso che avrei parlato dell’estinzione di fine Ordoviciano ed eccoci qui, finalmente.
Innanzi tutto devo dire che sono contento che questo post, prima di essere tale, è stato presentato sotto forma di power point durante una mia esposizione alla classe (insieme ad altre belle presentazioni tenute da altre mie colleghe) nel corso di Evoluzione Geologica di un Pianeta Abitabile per la laurea magistrale in Scienze della Natura.
Il mio intento di dare a certi avvenimenti negletti (e vedrete che questa estinzione lo è) lo spazio che si meritano, è riuscito non solo attraverso il blog ma anche dal vivo, e la cosa mi riempi di gioia.

Ma bando alle ciance.
Tra tutte le grandi estinzioni di massa, l’evento che avvenne alla fine dell’Ordoviciano è, in rapporto alla sua portata, senza dubbio quello meno conosciuto.
Ciò che quasi tutti non sanno (ma dovrebbero) è che l’estinzione di massa di fine Ordoviciano, che da ora in poi chiameremo affettuosamente LOME (Late Ordovician Mass Extinsion), non solo è stata la più antica delle cinque "Big Five" (ossia, le grandi estinzioni di massa che hanno caratterizzato la storia della vita della Terra, avvenute tra ordoviciano/siluriano, devoniano/carbonifero, permiano/triassico, triassico/giurassico e tra cretaceo/paleogene), ma è anche quella che occupa il secondo gradino del podio come numero di specie estinte, dopo l’inarrivabile estinzione di fine Permiano. Infatti, la LOME spazzò via dalla faccia del pianeta circa l’85% di tutte le specie della Terra (Jablonski 1991)!
Ma, ahimè, nonostante batta di circa il 10% la portata distruttiva dell’evento avvenuto al limite k/pg (per intenderci, quello in cui si estinsero rettili volanti, rettili marini e gran parte dei dinosauri), essa risulta molto meno famosa di quest’ultima.
Del resto, si sa, i dinosauri sono animali molto più mediatici e rendono famoso tutto ciò che è a loro collegato.

Nuova Pagina su Paleostories

Cari lettori,
so che aspettate con ansia (sarà poi vero?) il doppio post sulla crisi di fine Ordoviciano.
Purtroppo sono appena tornato da una settimana di guide paleontologiche e non ho avuto il tempo per lavorare. Nel tempo libero però, ho ordinato un pò i vari post del blog e creato questa nuova pagina.

La pagina "indice del blog" contine tutti i post che sono stati attualmente pubblicati su Paleostories, raccolti per aree tematiche. Il senso di questa pagina è di permettere a nuovi e vecchi utenti di non perdersi nei vari argomenti, che spesso hanno post cronologicamente distanziati tra di loro, e di leggere tutte le varie storie per intero.

A me piacciono i libri e ho voluto ordinare i vari post come se fossero pagine di capitoli di un libro.

Spero vi piaccia l'idea.

A presto

P.S. Non preoccupatevi, ho promesso che avremmo parlato a breve dell'estinzione Ordoviciana. 
Entro fine settimana sarà pubblicata.

Cooming soon: "Al freddo e al gelo: l'estinzione di massa di fine Ordoviciano"

Ho dedicato gli ultimi due post di questo blog alla climatologia, soprattutto a quella del passato. Non volevo addentrarmi nei meandri della disciplina, di cui sono poco ferrato (soprattutto di quella attuale), ma solo delineare un quadro generale dell'andamento del clima nel passato.
Mostrando alcuni grafici, ho evidenziato come i periodi di anormalità climatica della Terra siano stati quelli caratterizzati da temperature fredde, spesso con ampia copertura di ghiaccio, e con bassi livelli di pCO2.
Ho fatto tutto questo per introdurre un (o forse due, per spezzare un pò il discorso e non fare un post lunghissimo) post su uno dei più grandi e devastanti eventi che la vita sulla Terra abbia mai subito, l'estinzione di massa avvenuta alla fine dell'Ordoviciano.
Con questo post, chiuderò per un pò la parte relativa ai vertebrati ordoviciani. In seguito proseguiremo il nostro cammino nelle prime fasi dell'evoluzione dei vertebrati, che da questo periodo in poi ha cominciato a prendere numerose strade, molte delle quali saranno familiari (es. squali e pesci ossei).

Tutto questo però fra una settimana, almeno dopo il 12 giugno.
Da domenica vado in Svizzera per fare la guida paleontologica alla Caverna Generosa (sul monte generoso, vicino a Mendrisio), una bellissima grotta del Pleistocene dove sono stati trovati numerosi resti di orso delle caverne, strumenti in pietra neandertaliani e molto altro ancora.
Se siete in zona, venite a trovarmi (dal 3 al 9 Giugno).

Altrimenti, a presto
su Paleostories.

Global Warming? Si, grazie! (Parte seconda)

Che l'argomento Global Warming susciti grande interessa ormai è cosa chiara.
Nel post precedente ho parlato brevemente della storia delle temperature medei superficiali della Terra e della C02 nel corso della storia del nostro pianeta, immaginando che il post avrebbe avuto abbastanza lettori, visto l'argomento.
Quello che non mi aspettavo (Grazie!) era che il post venisse letto 250 volte (con 31 commenti) in una sola settimana!
Eh, il potere dei temi d'attualità.

Come abbiamo visto la volta scorsa, la concentrazione della C02 in atmosfera provoca inevitabilmente variazioni climatiche. L'aumento di temperature che stiamo sentendo sulla nostra pelle oggi infatti anche è il frutto di un aumento (antropico e non) della concentrazione di anidride carbonica. Tuttavia, ho portato alcuni dati che mostrano come la quantità di C02 attuale sia piuttosto bassa rispetto ai valori medi della Terra nel corso delle varie ere geologiche.
Ci sono stati periodi in cui la pC02 era più alta e periodi in cui la pCO2 era molto più alta di oggi. Pochi periodi in cui la CO2 era a livelli uguali o inferiori ad oggi.
In questa seconda parte della mini serie di Paleostories dedicata ai cambiamenti climatici terrestri, parlerò di cosa succederebbe, secondo un preciso modello, in caso di ampie variazioni di C02, sia verso il basso che verso l'alto.
In particolare, cosa succederebbe se si aumentasse di 2 o più volte (fino a 8x) la concentrazione di C02 rispetto all'attuale? E se invece si sottraesse anidride carbonica tale da averne la metà rispetto ad ora?

Nel 1985 Manabe e Bryan proposero un modello (per quanto ne so io ancora valido, ma attendo eventuali vostri chiarimenti) che indagasse appunto sulle conseguenze, per vari parametri terrestri, di estreme variazioni della concentrazione di C02.
In particolare, lo scopo era esaminare l'interazione tra atmosfera e oceani per studiare l'evoluzione dei principali parametri zonali (ad esempio come cambia la circolazione oceanica, le temperature superficiali terrestri alle varie latitudini, l'estensione dei ghiacci, etc..) al variare della pCO2.

In base al loro modello, Manabe e Bryan (1985) calcolarono come aumenti o diminuzioni di C02 cambierebbero i)la temperatura atmosferica ii) la temperatura della superficie oceanica iii) presenza di acqua allo stato ghiacciato iv) il ciclo idrogeologico v) circolazione termoalina profonda.
Cercherò di riassumere brevemente, punto per punto, i risultati del loro studio.
Le conclusioni saranno sorprendenti.

Global Warming? Si, grazie! (Parte prima)

Oggigiorno siamo continuamente assediati da notizie sul cambiamento climatico, sull'inquinamento, sulla distruzione della Terra da parte dell'uomo, etc etc.
Giornali, televisioni, assemblee pubbliche: ormai le parole clima, cambiamento e catastrofe sono sulla bocca di tutti.
Devo dire che provo un certo fastidio quando (spesso) sento parlare di queste cose da persone che non hanno una formazione scientifica adeguata a capire quello di cui stanno veramente parlando.
Solitamente questi sono gli argomenti preferiti dei giornali da leggere sulla metro, di associazioni ambientaliste e gruppi di protesta (non che non vi siano anche giornali e associazioni corrette, per carità).
Oggi la parola Global Warming ha assunto un significato preciso e si trascina dietro tutto ciò che la gente comune pensa di male riguardo alla presenza dell'uomo sul nostro pianeta.
Ma questa visione rispecchia veramente i dati che abbiamo a disposizione?
Siamo coscienti di come realmente stanno le cose?
In questo post (diviso in due, prima e seconda parte) cercherò di affidarmi esclusivamente ai dati e mostrare brevemente (è un discorso complesso e lunghissimo) cosa sappiamo e cosa non sappiamo dell'evoluzione climatica del nostro pianeta.
Se vi chiedete perchè un blog che fin'ora ha parlato di origine dei vertebrati, di radiazioni adattive, di cyclostomi e di paleontologia affronti questi argomenti, la risposta è che, come vedremo, l'evoluzione del clima della Terra ha profondamente influenzato lo sviluppo della vita.

Vorrei partire citando in parte questo articolo, apparso qualche giorno fa sul gruppo facebook dei naturalisti dell'Università di Milano

 "Secondo le previsioni dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), la più importante commissione di studio delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale, se non si ridurranno presto le emissioni di gas serra la temperatura superficiale della Terra, entro la fine di questo secolo, crescerà tra gli 1,8 e i 4 gradi centigradi.
Gli scienziati dell’IPCC ritengono, con una probabilità del 90%, che il riscaldamento climatico sia causato dalle attività antropiche.  
Questo scenario sconcertante è anche e soprattutto la scena di un crimine: i cui colpevoli restano ancora nell’ombra. Un gruppo internazionale di scienziati presieduto dal Nobel Paul Crutzen sostiene che “i cambiamenti causati dall’uomo nella composizione dell’atmosfera e nella qualità dell’aria causano a livello globale 2 milioni di morti premature ogni anno”.
Enel, con le sue centrali a carbone, produce da sola in Italia oltre 26 milioni di tonnellate di CO2.
La CO2 è il gas maggiormente responsabile dell’effetto serra e del caos climatico che minaccia il nostro mondo.
[..]
È in questo scenario, fatto di desertificazioni, alluvioni, freddi eccezionali come quelli dello scorso febbraio, che s’inseriscono molte delle tragedie cui abbiamo assistito inermi negli ultimi mesi.
[..]"

Benchè l'articolo si chiuda con un invito a cercare nuove fonti rinnovabili e a programmare uno sviluppo sostenibile (due punti su cui sono d'accordo), mi dispiaccio di vedere come tutto il contorno di queste buone intenzioni sia fatto di affermazioni superficiali, errate e volutamente gonfiate.


G.O.B.E.: the Great Ordovician Biodiversification Event

Questa settimana ho effettuato un piccolo sondaggio tra vari miei colleghi (=compagni) universitari.
Il domandone era: "se ti dico Paleozoico cosa ti viene in mente per prima cosa?"
Immaginavo già le risposte e il sondaggio ha confermato le mie sensazioni: al primo posto si è classificata la risposta "L'esplosione cambriana", seguita da "I placodermi del Devoniano".
Ebbene si, quando si parla di Paleozoico i due temi principali sono i (mitici) pesci corazzati del Devoniano (per intenderci, Dunkleosteus) e la ancor più famosa "Esplosione Cambriana", il grande evento adattativo, avvenuto durante le prime fasi del Cambriano, che ha portato all'origine di numerosi gruppo di animali.

Ovviamente però, non ero soddisfatto.
Mi aspettavo questo risultati, ma sono rimasto piuttosto deluso che nessuno abbia fatto cenno a quello che secondo me è stato più grande evento biologico del Paleozoico, nonchè uno dei punti chiave della storia della vita sulla Terra: il Grande Evento Ordoviciano di Biodiversificazione, per gli amici GOBE (Great Ordovician Biodiversification Event).

L'Ordoviciano (superato in una gara a chi è meno famoso solo dal Siluriano) è stato un periodo realmente importante per la storia della vita.
Abbiamo già visto qui come la vera radiazione dei vertebrati, con l'origine di numero gruppi di "agnathi" e dei primi pesci con le mascelle, sia cominciata proprio in questo periodo. Arandaspidi, astraspidi, thelodonti, possibili lamprede, squali, e probabilmente altri gruppi di vertebrati hanno iniziato la loro storia evolutiva proprio nell'Ordoviciano.
Se in quel post avevo mostrato questo ampio fenomeno di distribuzione e speciazione dei vertebrati, oggi cercherò di convincervi che l'Ordoviciano è stato effettivamente un periodo in cui la vita sulla Terra (e la Terra stessa, ovviamente) ha subito dei cambiamenti radicali e significativi, i cui effetti hanno cambiato il cammino della vita per il resto della sua storia.

How to build a Vertebrate Final Chapter: i cyclostomi e la perdita di materiale genetico

Questo è l'ultimo post della serie How to Build a Vertebrate ("Come costruire un vertebrato").
Se avete seguito i tre post precedenti, avete visto come siano importanti nella storia dei vertebrati almeno due grandi eventi di duplicazione del genoma.
Non riassumerò anche in questo post la faccenda, sennò sarei sempre ripetitivo. Quindi, se qualcuno avesse difficoltà a seguire il resto del discorso, può andarsi a leggersi uno o più post precedenti della serie (primo, secondo, terzo).

Nell'ultimo post avevo concluso dicendo che alcuni studi sul genoma delle lamprede hanno portato dati a supporto dell'ipotesi secondo la quale entrambi questi eventi di duplicazione sono avvenuti prima della divergenza tra cyclostomi e gnathostomi (vedere qui). Questi dati provengono soprattutto dal confronto di alcuni tratti di geni che risultavano in comune tra i due gruppi e discendenti da un ampio evento di duplicazione avvenuto prima della separazione di questi gruppi.

Considerando questo scenario come realistico, oggi dovremmo vedere un certo grado di uniformità all'interno del genoma di cyclostomi e gnathostomi. Se essi si sono originati da un grande evento (doppio) di duplicazione genetica avvenuto nel loro antenato comune, è pensabile che essi posseggano caratteristiche genetiche e morfologiche abbastanza simili, tale da oservare ampiamente la loro comune parentela genetica.
Invece non è così, dal momento che non solo cyclostomi e gnathostomi possiedono una morfologia per moltissimi aspetti differenti (anche se includiamo le forme estinte di gnathosmi stelo, come i miei amati arandaspidi e gli altri "ostracodermi"), ma anche a livello fisiologico e genetico (come vedremo in seguito) essi mostrano notevoli differenze.
Come è possibile spiegare questa incongruenza?