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C'era una volta in Italia: La Carnia e il Devoniano che verrà

Il Devoniano è famoso per essere stato uno dei periodi più floridi da quando la vita è apparsa sul nostro pianeta.
Se avete mai visto un disegno o un diorama rappresentate un ambiente marino devoniano, vi saranno sicuramente rimasti impressi gli enormi placodermi corazzati, o i bizzarri squali con le spine, oi primi paesaggi dominati dalle foreste.
Ho parlato in vari post di animali del Devoniano, che per quanto riguarda i vertebrati fu davvero un perido importante, in cui si verificò, per esempio, l'estinzione di gran parte degli "agnati",  la radiazione dei condritti e la comparsa dei tetrapodi.

Ma, come ho tentato di farvi vedere nei precedenti post, non c'è bisogno di fare chissà quale viaggio verso mete lontane per vedere strati e fossili di questi momenti remoti.
Anche in Italia, spero non abbiate mai avuto dubbio alcuno, esistono strati del Devoniano.

Splendido disegno di un paesaggio subacqueo devoniano. By Julius Csotonyi

Nuova filogenesi dei cyathaspididi

Sono cosciente che certi post diciamo "di nicchia" possono interessare a pochi.
Tuttavia spesso in questo blog ho parlato degli "agnati", del loro significato evolutivo, di ciò che sappiamo della loro ecologia e della loro distribuzione geografica e temporale.
Ritengo dunque importante, per chi ne fosse interessato, accennare a questo nuovo studio di Lundgren e Bloom (2013), dell'Università di Uppsala, sulle relazioni filogenetiche all'interno dei cyathaspididi.

Cyathaspidiformes è un gruppo di heterostraci, di cui ho già parlato abbondantemente qui, caratterizzato da una particolare tipo di ornamentazione delle creste longitudinale delle scaglie, che possessono margini crenulati, e dal possesso di una corazza dorsale costituita da un solo grosso piastrone (a differenza dell'altro grande gruppo di heterostraci, Pteraspidiformes, che invece presenta divestre piastre nella parte cefalica).

All'interno di Cyathaspidiformes, a parte alcune forme basali, si trovano essenzialmente due ulteriori grossi raggruppamenti, Cyathaspididae e Amphiaspididae. Del secondo abbiamo parlato qui, ma essendo un gruppo molto derivato, endemico e limitato temporaneamente, viene solitamente studiato come gruppo a se stante. Questo post, così come lo studio di Lundgren e Blom (2013), ci concentreremo su Cyathaspididae.

Anglaspis, un cyathaspidide, by Sefano Broccoli

Diania cactiformis, l'evoluzione degli artropodi e la perdita dello scettro

In uno scambio di battute con il gentile utente Robo relativo al post su Kootenichela, avevamo parlato dei lobopodiani, della loro posizione filogenetica e del ruolo che essi possono aver ricoperto nell’evoluzione degli artropodi moderni.
In particolare, avevamo menzionato Diania cactiformis, un bizzarro esserino proveniente dal lagerstatte di Chengjiang, ritenuto essere uno dei parenti più prossimi degli artropodi.

I lobopodiani sono un gruppodi piccoli animali vermiformi, caratterizzati dal possesso di numerose appendici pari, segmentate, poste ventro-lateralmente, a dar loro la parvenza di un attuale onicoforo.


Molto diffusi nel Cambriano essi si estinsero probabilmente nel Carbonifero, anche se dalla fine del cambirano in poi i loro fossili si fanno molto rari e non conosciamo la reale biodiversità di questo gruppo in questo lasso di tempo.
Giacimenti famosi per la loro fauna a lobopodiani sono Burgess Shale e Chengjiang, di cui ho già parlato qui e qui, anche se per altri motivi.
Molti studi (Hou & Bergstrom 1995; Budd 2001; Liu et al., 2008; Ma et al., 2009) si sono concentrati sulle possibili relazioni di questi animali, considerandoli importanti per capire l’origine degli attuali panartropodi (Tardigrada, Onychophora e Arthropoda) .
Il caso ha voluto che due giorni dopo la discussione tra me e Robo, circa due settimane fa, venisse pubblicata proprio la ridescrizione di questo animale (Ma et al., 2013), con annesse nuove ipotesi filogenetiche.
Questo post è dunque dedicato a Robo e alle nuove scoperte su Diana cactiformis.

Ricostruzione di Diania cactiformis. Da Ma et al., 2013

Come costruire una tartaruga (Lyson et al., 2013)

Il relazione al mio ultimo post sui predatori di tartarughe, vi segnalo questo bell'articolo sull'evoluzione del "guscio" delle tartarughe, pubblicato recentemente sulla rivista Current Biology da un folto team di studiosi (Lyson et al., 2013).

All'articolo è legato anche una bellissimo video animato in 3d, sempre degli stessi autori.
Lo trovate sotto la traduzione dell'abstract

Lyson, T. R., Bever, G. S., Scheyer, T. M., Hsiang, A. Y.,  and J. A. Gauthier. 2013.
Evolutionary Origin of the Turtle Shell.   

The origin of the turtle shell has perplexed biologists for more than two centuries. It was not until Odontochelys semitestacea was discovered, however, that the fossil and developmental data could be synthesized into a model of shell assembly that makes predictions for the as-yet unestablished history of the turtle stem group. We build on this model by integrating novel data for Eunotosaurus africanus—a Late Guadalupian (~260 mya) Permian reptile inferred to be an early stem turtle. Eunotosaurus expresses a number of relevant characters, including a reduced number of elongate trunk vertebrae (nine), nine pairs of T-shaped ribs, inferred loss of intercostal muscles, reorganization of respiratory muscles to the ventral side of the ribs, (sub)dermal outgrowth of bone from the developing perichondral collar of the ribs, and paired gastralia that lack both lateral and median elements. These features conform to the predicted sequence of character acquisition and provide further support that E. africanusO. semitestacea, and Proganochelys quenstedti represent successive divergences from the turtle stem lineage. The initial transformations of the model thus occurred by the Middle Permian, which is congruent with molecular-based divergence estimates for the lineage, and remain viable whether turtles originated inside or outside crown Diapsida.

I predatori della preistoria Ep. 5: una dieta a base di tartarughe

Quanti di noi possiedono come animali domestici delle tartarughe?
Io personalmente no, ma conosco molte persone che ce l'hanno, soprattutto nei terrari, e devo dire che ogni volta che vado a trovarli passo molto tempo a osservare questi curiosi animali, lenti e imbranati ma sicuramente simpatici e spesso sorprendentemente socievoli.
Le tartarughe fanno solitamente simpatia a tutti e sono da sempre simbolo di longevità, calma e saggezza.

Recentemente mi è capito di prendere in mano una tartarughina d'acqua dolce: spaventata, si è subito ritirata nel suo duro carapace, forte e sicura della sua corazza. 
In quel momento mi è venuta una domanda: come mai questi rettili possiedono un sistema di difesa tanto complesso quanto efficace? Da chi devono proteggersi le tartarughe?
Così, ho iniziato a scartabellare nella mia biblioteca digitale e mi sono imbattuto in diversi articoli sull'ecologia delle tartarughe e sul ruolo che esse hanno avuto negli ecosistemi del passato e del presente).

Ma tra tutti, un articolo mi ha particolarmente colpito, perchè esso rappresenta anche un ottimo spunto per un post sulle relazioni tra prede e predatori.
E di questo parliamo oggi, nel quito episodio della serie "I predatori della preistoria": dunque, esistono tracce fossili che testimonino casi di predazione su tartarughe? La risposta è, ovviamente, si.

Si salvi chi può! Ma sarà sufficiente?