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Il mito della conquista della terraferma Parte 5: le pinne di Tiktaalik e le prove evoluzionistiche

Chi legge questo blog da tempo, sa bene quanto l'evoluzione dei primi tetrapodi sia uno degli argomenti che più mi interessa.
Ne ho parlato spessissimo (vedere indice) e spero di aver mostrato come oggi, grazie alle prove fossili, sappiamo che l'origine delle caratteristiche che fanno di un tetrapode un tetrapode (quattro arti muniti di dita e connessi ad un cinto pelvico pienamente sviluppato, presenza del collo, assenza di opercolo, etc...) non è collegata ne al bisogno da parte di alcuni pesci di conquistare la terra ferma (giacchè si sono sviluppate in acqua) ne fanno parte di un passaggio così graduale come si è sempre narrato nel mito.

Un recente studio, basato su uno dei tetrapodomorfi più famosi degli ultimi anni, Tiktaalik rosae, fornisce un ulteriore spunto di analisi sulle prime fasi dell'evoluzione di questo gruppo.



C'era una volta in Italia: il Carbonifero Sardo

Nel precedente post vi avevo parlato dei bellissimi fossili di vegetali del Carbonifero trovati in Val Sanagra. Avevamo visto come questa parte d'Italia era abitata da un gran numero di specie di piante, appartenenti a diversi gruppi sistematici, e che già in quel periodo era presente una certa varietà, anche dal punto di vista degli habitat e delle associazioni vegetazionali.
Il Carbonifero però, oltre che essere ricordato come uno dei periodi più floridi per quanto riguarda il regno vegetale, è molto più famoso, soprattutto al grande pubblico, per essere stato abitato da artropodi di dimensioni ben superiori rispetto a quelle a cui siamo abituati oggi.
I due taxa più famosi sono senza dubbio la grande libellula Meganeura, con apertura alare fino a 65 centimetri, e il miriapode Arthropleura, che con i suoi 2 metri di lunghezza (in alcuni esemplari) risulta essere l'invertebrato terrestre più grande di cui si conosce per ora esistenza.
E, ebbene si, sto per raccontarvi come anche in Italia sono stati trovati i resti di una di queste due star del Carbonifero.















Meganeura (alto) e Arthropleura (destra)


C'era una volta in Italia: il Carbonifero della Val Sanagra

Nel post precedente vi avevo accompagnato in un viaggio.
Eravamo immersi in una splendida foresta tropicale, con strani alberi, tanta umidità e un caldo soffocante.
Avevamo viaggiato in una tipica foresta del Carbonifero. Non una foresta qualunque, una foresta realmente esistita, in Italia, circa 310 milioni di anni, e ben documentata dai fossili.
Riprendendo dunque la mia serie sulla storia d'Italia raccontata dai fossili, parlerò di un importante sito, recentemente ridescritto (Josef Pšenicka et al., 2013), risalente al Carbonifero e localizzato nel Nord Italia, più precisamente in Val Sanagra.

La Val Sanagra è un una valle di origine glaciale, formatasi durante la glaciazione pleistocenica, che si trova in Lombardia, in provincia di Como, tra il lago di Lugano e il lago di Como, ad est di quest'ultimo.
La zona è molto ricca di fossili, non solo per quanto riguarda il Carbonifero ma anche per altri periodi, soprattutto il Triassico (magari ne parlerò in futuro).



Nel Carbonifero, questa zona faceva parte di una grande pianura alluvionale, probabilmente periodicamente sommersa e con una serie di canali collegati ad un lago, abitata da un vasto numero di piante e probabilmente, anche se non sono stati ritrovati fossili, di animali.
I primi fossili della Val Sanagra sono stati descritti nel 1946 da Magnani, ma essi consistevano solamente in alcune impronte di Calamites, Sigillaria e Lepidodendron.
Un anno dopo, Venzo e Maglia (1947) pubblicano invece la prima ampia descrizione della flora della Val Sanagra, descrivendo oltre 2000 fossili classificati in 22 generi e 75 specie.
Nonostante siano passati anni, la flora della Val Sangra, per la sua grande varietà di specie, ricopre ancora un ruolo importante nella nostra conoscienza dell'ecologia del Carbonifero in Europa, tanto da essere rivista e ridescritta in un recente studio (Josef Pšenicka et al., 2011), apparso sulla rivista Review of Palaeobotany and Palynology.

Cronaca di un paleoviaggio.

Dopo un periodo di latenza (mi scuso per la lunghezza dell'assenza), dovuto ad un cambio radicale della mia vita sia personale che lavorativa, Paleostories torna attivo e con nuova linfa. 
Per il primo post del nuovo anno,voglio farvi fare un viaggio in un posto meraviglioso, che vi lascerà a bocca aperta.
A dir la verità mi piacerebbe iniziare ad occuparmi di paleo-viaggi, raccontandovi ambienti ed ecosistemi del passato, in una sorta di documentario narrativo (ho una certa passione per la paleoecologia).
Vediamo come va, se arrivano feedback positivi potrei effettivamente pensarci. 
Pronti dunque per il primo viaggio.

Siamo arrivati, è mattina inoltrata e il sole è già alto nel cielo.
Il clima è caldo, molto caldo, ma quello che da abbastanza fastidio a chi non è abituato è l’umidità. Anche la percentuale di ossigeno è diversa da quella a cui siamo abituati, più alta, e questo ci da una strana sensazione. 
Un po’ intontiti dall’afa, ci incamminiamo.
Intorno a noi vediamo una foresta molto fitta, con grandi tronchi adornati da foglie lunghe e verdissime. Nei dintorni di questi tronchi, piante di varie grandezze in un intricato sottobosco. 
La foresta è dominata da strani alberi, alti circa una decina di metri, che presentano foglie solo alla loro sommità. Le foglie appaiono simili a quelle delle felci e sono portate a gruppi da lunghi rami pendenti. 
Si tratta della pianta Linopteris, del gruppo delle pteridospermatofite (Pteridospermatophyta), piante con i semi ma ancora di classificazione incerta, probabilmente appena più primitive delle odierne angiosperme e gimnosperme. 
Mentre camminiamo ne incontriamo tantissime, e sembra che esse rappresentino il taxon principale di quest’area della foresta. 
Intorno a noi l’atmosfera è tutt’altro che silenziosa: numerosi ronzii e crepitii solleticano le nostre orecchie, ma non riusciamo a vedere effettivamente nessun animale. 
Insieme alle Linopteris, altri grandi "alberi" attirano la nostra attenzione. Guardando bene notiamo una certa somiglianza con i nostri equiseti, anche se questi davanti a noi sono molto più grandi. Avvicinandoci, riconosciamo qualche specie: Calamites, Annularia, Asterophyllites, Calamostachys. Effettivamente, si tratta di equiseti ma di dimensioni gigantesche. La loro parvenza di alberi è data dal fatto che queste piante qui crescono anche oltre i 10 metri di altezza. 

Linopteris. Immagine da
http://www.jirisvoboda.wz.cz/stranky/domu.htm
Calamites. Immagine da http://unlobogris.deviantart.com/



Continuiamo a muoverci nella foresta, rompendo di tanto in tanto qualche rametto e inzuppandoci i piedi a causa delle numerose pozze che costellano il suolo.
Man mano che camminiamo, ci accorgiamo che il tipo di pianta dominante sta cambiando, forse per variazioni del terreno o della quantità di acqua.