Da un po’ di post stiamo parlando dell’anatomia interna dei fossili e di come lo studio di questa può aiutarci a ricavare preziose informazioni importanti riguardo l’ecologia, la filogenesi e l’evoluzione di alcuni gruppi. Abbiamo parlato dell’evoluzione del cervello, della morfologia degli archi branchiali, di nervi e muscoli.
Spero però che, leggendo queste cose, vi sia venuta in mente una domanda semplice quanto necessaria: ma com’è possibile sapere com’era fatto il cervello o l’arco branchiale di un animale che conosciamo solo come resto fossile?
I tessuti molli, come il cervello, non dovrebbero essere molto rari da trovare fossilizzati?
Infatti è così, in quanto tessuto non mineralizzato, il cervello, così come i nervi, i vasi sanguigni, i muscoli, non si fossilizzano facilmente, tale che è quasi impossibile avere informazioni dirette della loro morfologia.
Tuttavia, vi sono altre strutture che possono essere utilizzate per studiare questi tessuti, e ciò riguarda le cavità, i canali, le cicatrici, che questi lasciano sulle ossa o al loro interno, come le cavità lasciate dal corso dei nervi all’interno dell’endocranio che, in vari casi, è ossificato e quindi si fossilizza.
In questo modo, osservando le tracce lasciate da questi tessuti all’interno delle ossa, è possibile ottenere un’idea riguardo la loro morfologia.
A questo punto però, possiamo porci un’altra domanda, più tecnica: ma come si studia “il dentro” di un fossile? Quali tecniche e in quali casi è possibile?
In questo post vedremo una breve panoramica delle tecniche utilizzate nello studio dell’anatomia interna dei fossili, in particolare della zona cranica, dei loro vantaggi e svantaggi, e di come queste siano cambiate nel tempo.